Furto di merce di modico valore: è legittimo il licenziamento per giusta causa

Last Updated on Ottobre 23, 2019

Di: Avv. Wanda Falco

Il licenziamento per giusta causa trova il suo fondamento in un grave inadempimento degli obblighi contrattuali da parte del dipendente (art. 2119 c.c.), tale da giustificare il recesso immediato del datore di lavoro senza alcun preavviso, essendosi in presenza di una condotta che lede il vincolo fiduciario e rende impossibile la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto. 

Una delle questioni maggiormente dibattute riguarda la rilevanza o meno dell’entità del danno patrimoniale arrecato al datore dalla condotta lesiva del vincolo fiduciario. In particolare, la giurisprudenza si è pronunciata su numerosi casi di licenziamento in tronco di lavoratori che avevano rubato merce aziendale di modico valore. In tali ipotesi, il problema che si pone è capire se un tale comportamento possa integrare una giusta causa di licenziamento, tenuto conto del carattere drastico di tale misura a fronte del modico valore dei beni sottratti e, quindi, della tenuità del danno sopportato dall’azienda.

Vediamo nel dettaglio cosa dice la giurisprudenza.

Un leading case: il dipendente del supermercato che ruba un pacco di caramelle

La Corte di Cassazione si è pronunciata più volte sull’ammissibilità del licenziamento in tronco a seguito di condotte comportanti un danno al patrimonio aziendale di speciale tenuità.

L’elemento centrale da cui muovono tutte le pronunce è il carattere fiduciario del rapporto di lavoro: una lesione grave della fiducia che una parte ripone nell’altra legittima il licenziamento in tronco. Tale lesione si verifica anche in presenza della sottrazione di beni aziendali indipendentemente dal loro valore economico e, quindi, dalla portata del danno arrecato al datore vittima del furto.

A tal proposito, ha avuto particolare risonanza mediatica il caso abbastanza recente del dipendente di un supermercato licenziato per giusta causa perché trovato dalla vigilanza aziendale con confezioni di gomme e di caramelle in tasca per un valore pari a circa 10 euro (Cass. 24014/2017). La Corte di Cassazione, confermando la sentenza di merito, ha chiarito che è legittimo il licenziamento per giusta causa in quanto la condotta in questione è idonea a ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario ed è tale da mettere in dubbio la futura correttezza degli adempimenti, a nulla rilevando lo scarso valore commerciale del bene sottratto al datore. 

In sostanza, la tenuità del danno non esclude la lesione del vincolo fiduciario in quanto ai fini della valutazione della proporzionalità tra fatto addebitato e recesso viene in considerazione non l’assenza o la speciale tenuità del danno patrimoniale, ma la ripercussione sul rapporto di lavoro di una condotta suscettibile di porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento – in quanto sintomatica di un certo atteggiarsi del dipendente rispetto agli obblighi assunti ovvero della sua inaffidabilità.

In altre parole, la condotta dell’appropriazione, ad esempio, di merce esposta al pubblico da parte di uno degli stessi incaricati dell’imprenditore è grave in quanto sintomatica di un approccio del lavoratore poco incline al rispetto delle regole e degli obblighi di diligenza e fedeltà: essa è, dunque, tale da non essere scalfita dall’esiguo valore della merce sottratta, dalla lunga durata del rapporto di lavoro ovvero dall’assenza di precedenti disciplinari. 

Il medesimo principio è stato sancito dalla Cassazione anche nel caso di una dipendente di un supermercato con mansioni di cassiera che aveva impugnato il licenziamento per giusta causa, intimato per avere accreditato l’importo della spesa fatta dai clienti sulla propria carta punti, in più occasioni durante un periodo di circa 7 mesi. In questo modo, la lavoratrice aveva accumulato punti equivalenti alla somma di euro 50, spendibile sotto forma di sconti presso i supermercati aderenti al circuito della fidelity card (Cass. 18184/2017). Anche in tale ipotesi, i giudici di legittimità hanno spiegato che ai fini dell’accertamento della giusta causa di licenziamento si deve considerare il disvalore intrinseco della condotta, senza che abbia rilievo l’entità del danno che ne possa conseguire 

La casistica al riguardo è molto varia. La Corte ha, ad esempio, confermato la legittimità del licenziamento per giusta causa:

  • di un dipendente del settore ferroviario che aveva prelevato, durante il turno lavorativo, venti litri di gasolio del valore di 25-30 euro (Cass. 8816/2017);
  • di un addetto al reparto pizzeria presso un punto vendita che si era impossessato di due DVD per un valore di 30,80 euro (Cass. 25186/2016);
  • di un autista addetto allo scarico e alla consegna di merce a un punto vendita che aveva sottratto una busta di salumi (Cass. 23365/2009);
  • di una commessa che aveva rubato una camicetta di 16.000 lire occultandola sotto la maglia (Cass. 5036/2009). 

Irrilevanza dell’archiviazione del procedimento penale per tenuità del fatto

Alla luce di quanto appena esposto è opportuno accennare anche alla questione dell’autonomia del processo civile rispetto all’esito del procedimento penale. Infatti, è irrilevante che il procedimento penale a carico del dipendente sorpreso a rubare si sia concluso con l’archiviazione per inoffensività del fatto ovvero per particolare tenuità dello stesso.

Il giudice civile, infatti, è libero di procedere a un accertamento dei fatti e ad una qualificazione giuridica degli stessi differente da quella operata dal giudice penale proprio in virtù del principio dell’autonomia tra azione civile ed azione penale. Infatti, mentre il procedimento penale è orientato alla sussunzione del fatto nella fattispecie penale alla luce dei principi che regolano la specifica materia, il processo civile mira alla verifica della permanenza o meno del rapporto fiduciario tra lavoratore e datore di lavoro. Inoltre, l’elemento della speciale tenuità del danno patrimoniale rileva per la norma penale, trattandosi, ai sensi dell’art. 131 bis c.p.p., di una causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto (“nei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria sola o congiunta alla predetta pena, la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, l’offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale”). 

La particolare tenuità del fatto (e quindi del danno arrecato al datore) non rileva, invece, in ambito disciplinare e nel processo civile avente ad oggetto l’accertamento della legittimità del licenziamento: esso è governato da un principio diverso da quello di offensività, ovvero dal principio della tutela del vincolo fiduciario che prescinde da qualsiasi danno patrimoniale.

In sostanza, il giudizio sulla sussistenza dei presupposti per l’esercizio dell’azione penale è del tutto autonomo e distinto dal giudizio sulla legittimità del licenziamento comminato. Pertanto, se la condotta posta in essere dal lavoratore può non avere rilievo ai fini dell’esercizio dell’azione penale, la stessa può comunque essere validamente posta a fondamento del licenziamento disciplinare. Il giudice dovrà, dunque, valutare soltanto la sussistenza dei fatti addebitati e la loro idoneità ad interrompere il rapporto in modo immediato.

Conclusioni

La questione della legittimità del licenziamento per giusta causa in caso di furto di merce aziendale anche se di modico valore è uno dei terreni in cui appare più evidente che molte condotte illecite del dipendente possono essere fonte di responsabilità sia penale che civile e disciplinare; ciò, tuttavia, non significa che i relativi procedimenti siano governati dagli stessi principi e la valutazione delle medesime condotte avvenga secondo parametri comuni. È proprio per tali ragioni che il lavoratore che ruba al proprio datore, pur senza arrecargli un danno patrimoniale significativo, è legittimamente licenziabile senza che possano trovare applicazione le cause di esclusione della punibilità previste in ambito penale. Ledere la fiducia del datore di lavoro, dunque, conta più di qualsiasi pregiudizio economico. 

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