L’auto aziendale: quando è un fringe benefit di natura retributiva?

Last Updated on Ottobre 13, 2021

Di: Avv. Wanda Falco

La giurisprudenza ormai consolidata ritiene che, ai sensi degli artt. 2118 comma 2 c.c. e 2120 c.c., ai fini della individuazione della retribuzione annua utile per il calcolo del trattamento di fine rapporto deve tenersi conto di tutti gli emolumenti corrisposti in dipendenza del rapporto di lavoro, a titolo non occasionale, e, quindi, anche del controvalore in denaro delle prestazioni in natura erogate (Cass. 16636/2012; Cass. 4708/2012).

Si considera, pertanto, retribuzione tutto ciò che il lavoratore riceve dal datore di lavoro in denaro o in natura, al lordo di qualsiasi ritenuta, in dipendenza del rapporto di lavoro: è retribuzione ogni erogazione che trova causa tipica e normale nel rapporto di lavoro, al quale è istituzionalmente connessa.

Tipica forma di retribuzione in natura è la concessione di un’auto aziendale al dipendente, qualora ne sia consentito anche l’uso personale.

Tuttavia, affinché l’auto aziendale possa essere considerata un fringe benefit di natura retributiva non è sufficiente che il datore conceda al dipendente anche l’uso personale della stessa: è necessario che il lavoratore tragga un beneficio economico dalla concessione dell’auto aziendale.

Solo qualora abbia natura retributiva, dunque, un’eventuale revoca del beneficio da parte del datore è da ritenersi illegittima in quanto viola il principio di irriducibilità della retribuzione.

Tale principio, come vedremo, non deve essere inteso in senso assoluto in quanto si estende “alla sola retribuzione compensativa delle qualità professionali intrinseche essenziali delle mansioni precedentemente svolte, non a quelle componenti della retribuzione che siano erogate per compensare particolari modalità della prestazione lavorativa e cioè caratteristiche estrinseche non correlate con le prospettate qualità professionali della stessa e, come tali, suscettibili di riduzione una volta venute meno, nelle nuove mansioni, quelle caratteristiche estrinseche che ne risultavano compensate” (Cass. 16106/2003; Cass. 19258/2019).

Vediamo, pertanto, nel dettaglio alcune recenti pronunce sul punto.

Auto aziendale a uso promiscuo

Si segnala il caso del dirigente a cui era stata assegnata un’auto aziendale che poteva essere da lui utilizzata anche per lo svolgimento di attività di natura personale e non esclusivamente lavorativa, dietro pagamento mensile del costo relativo all’uso personale dell’autoveicolo (pagamento previsto dall’accordo aziendale, ma in concreto mai trattenuto dall’azienda).

Come evidenziato dalla Suprema Corte, l’uso così regolamentato dell’autovettura aziendale, in quanto rispondente all’interesse della datrice di lavoro e oneroso per il dipendente, non è tale da integrare un compenso in natura che possa trovare la sua causa nel sinallagma contrattuale. Ciò comporta che è legittima la revoca della disponibilità dell’auto aziendale senza preavviso e senza riconoscimento al dirigente di un indennizzo o compenso sostitutivo, a nulla rilevando che il predetto addebito, nella specie, non sia mai stato applicato dalla società.

Infatti, per trasformare in fringe benefit di natura retributiva un titolo di godimento di un bene è necessaria una manifestazione di volontà univoca e chiara in tal senso e il solo fatto che nelle buste paga non risulti effettuata la trattenuta relativa all’autovettura non consente di ritenere che l’uso sia stato concesso senza oneri per il dipendente né che questi abbia diritto ad indennizzo o compenso sostitutivo (Cass. 11538/2019).

Dunque, quando dell’auto aziendale sia consentito anche l’uso privato, ma questo sia concesso a fronte del pagamento, mediante trattenuta in busta paga, di un canone non simbolico, non si può ritenere che l’uso privato costituisca una forma di retribuzione in natura, posto che al datore di lavoro è corrisposto un adeguato rimborso degli oneri e delle spese sostenute.

In altre parole, l’autovettura in uso al dipendente non può essere considerata come un elemento avente natura retributiva (come tale soggetto al principio di irriducibilità della retribuzione) nel caso in cui, una volta revocata la concessione, la trattenuta del canone non sia più operata ed il lavoratore si veda corrispondere nuovamente in busta paga la somma in precedenza trattenuta, senza alcuna perdita patrimoniale (Trib. di Bologna, sentenza del 5 giugno 2014).

Sulla nozione di irriducibilità della retribuzione

Quanto al principio della irriducibilità della retribuzione, è necessario precisare che, come anticipato in premessa, secondo la giurisprudenza esso implica che la retribuzione concordata al momento dell’assunzione non è riducibile neppure a seguito di accordo tra il datore e il prestatore e che ogni patto contrario è nullo in ogni caso in cui il compenso pattuito venga ridotto.

Tuttavia, a tale regola generale fa eccezione il caso di legittimo esercizio dello ius variandi da parte del datore: la garanzia della irriducibilità si estende, pertanto, “alla sola retribuzione compensativa delle qualità professionali intrinseche essenziali delle mansioni precedenti, ma non a quelle componenti della retribuzione erogate per compensare particolari modalità della prestazione lavorativa e suscettibili di riduzione una volta venute meno, nelle nuove mansioni, quelle caratteristiche estrinseche che ne risultavano compensate (Cass. 19092/2017; Cass. 19258/2019).

Sul principio di irriducibilità della retribuzione e sulla revocabilità dell’auto aziendale in uso promiscuo si è anche pronunciato il Tribunale di Udine con una sentenza recentissima: nel caso di specie il lavoratore non aveva fornito alcun chiarimento circa la effettiva riconducibilità del fringe benefit alla retribuzione compensativa delle qualità professionali intrinseche alle mansioni precedenti o a quelle componenti della retribuzione erogate per compensare particolari modalità della prestazione lavorativa venute meno a seguito del cambio di mansioni.

Sulla base di tali premesse il Tribunale in parola ha ritenuto che il benefit, consistente nella concessione dell’auto aziendale a uso promiscuo, potesse essere revocato unilateralmente da parte del datore di lavoro in presenza di una clausola contrattuale in tal senso, che ben può essere inquadrata come legittima clausola risolutiva meramente potestativa (Trib. di Udine, ordinanza del 25 agosto 2020).

Conclusioni

Se beni, come l’auto aziendale, vengono concessi dal datore di lavoro a fini esclusivamente lavorativi, essi non costituiscono un elemento della retribuzione, atteso che, utilizzando il bene esclusivamente per lo svolgimento delle mansioni, il lavoratore non trae alcun beneficio economico dall’utilizzo del medesimo.
Analogamente, nel caso in cui la concessione dell’auto non sia solo strumentale allo svolgimento della prestazione lavorativa e ne sia consentito l’uso personale dietro pagamento da parte del dipendente di un canone non simbolico, essa non può essere considerata elemento della retribuzione: può, pertanto, essere revocata dal datore di lavoro senza alcun preavviso e senza riconoscimento di un indennizzo sostitutivo.

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