Patto di prova: cos’è e come funziona

Last Updated on Marzo 20, 2020

Di: Avv. Wanda Falco

Il patto di prova è una clausola che può essere apposta al contratto di lavoro per subordinare l’assunzione definitiva all’esito positivo di un periodo di prova. 

Come previsto dall’art. 2096 c.c., l’assunzione del lavoratore per un periodo di prova deve risultare da atto scritto e durante tale periodo ciascuna delle parti può recedere dal contratto senza obbligo di preavviso o di indennità. La durata della prova è stabilita dalla contrattazione collettiva nazionale e trascorso il relativo periodo, l’assunzione diviene definitiva.

La causa del patto di prova risiede nella tutela dell’interesse comune alle due parti del rapporto di lavoro di verificare la reciproca convenienza del contratto. Infatti, durante il periodo di prova il datore di lavoro ha la possibilità di valutare le capacità e le competenze del lavoratore, mentre quest’ultimo può valutare l’entità della prestazione richiestagli, le condizioni di svolgimento del rapporto di lavoro e l’interesse verso il ruolo assegnato (Cass. 4635/2016).

Vediamo ora nel dettaglio quali sono le caratteristiche del patto di prova e quando è possibile stipulare più patti successivi tra le medesime parti.

Caratteristiche del patto di prova

Affinché sia valido il patto di prova deve presentare alcune caratteristiche. In particolare:

  • deve risultare da atto scritto a pena di nullità della prova; di solito consiste in un’apposita clausola del contratto individuale di lavoro;
  • deve contenere specifica indicazione delle mansioni che il lavoratore è chiamato a svolgere; tale indicazione può essere operata anche per relationem, ovvero mediante rinvio alle declaratorie del contratto collettivo che definiscano le mansioni comprese nella qualifica di assunzione, purché il rinvio sia sufficientemente specifico ovvero “fatto alla nozione più dettagliata rispetto alla scala definitoria di categorie, qualifiche, livelli e profili professionali in esso contenuta” (Cass. 9597/2017; Cass. 16587/2017);
  • deve avere una durata massima, di solito fissata dai CCNL di settore (che generalmente si aggira intorno ai sei mesi); nel caso in cui datore e lavoratore si accordino per una durata minima del periodo di prova, l’art. 2096 c.c. dispone che la facoltà di recesso non possa esercitarsi prima della scadenza del termine; 
  • se nessuna parte esprime volontà di recedere, la prova si ritiene automaticamente superata e il contratto prosegue in via definitiva, senza che sia necessario provvedere ad alcuna formalità in tal senso.

A ciò si aggiunga che il licenziamento intimato nel corso o al termine del periodo di prova, ha natura discrezionale e non deve essere motivato neppure in caso di contestazione in ordine alla valutazione della capacità e del comportamento professionale del lavoratore. Su quest’ultimo, pertanto, incombe l’onere di provare sia il positivo superamento del periodo di prova sia che il recesso sia stato determinato da un motivo illecito e, quindi, estraneo alla funzione del patto di prova (si veda in tal senso Cass. 1180/2017, che ha cassato con rinvio la sentenza di merito che aveva ritenuto illegittimo il licenziamento di un informatore farmaceutico per mancato superamento della prova in quanto il lavoratore aveva dimostrato l’esito positivo della stessa senza, però, verificare se il recesso fosse stato determinato da altri motivi illeciti).

Successione di plurimi patti di prova

Come anticipato, la ratio del patto di prova è quella di consentire a entrambe le parti di valutare la reciproca convenienza del contratto. 

Da ciò consegue che, in genere, non è possibile stipulare più patti di prova successivi tra le medesime parti e che abbiano ad oggetto le medesime mansioni, avendo il datore di lavoro già verificato le capacità professionali del dipendente (Cass. 6633/2020).

Tuttavia, non mancano casi in cui la ripetizione del patto di prova in due successivi contratti aventi ad oggetto le medesime mansioni si renda necessaria per l’intervento di molteplici fattori, attinenti, ad esempio, alle abitudini di vita o a problemi di salute del lavoratore o al contesto di svolgimento della prestazione. In tali casi, il datore di lavoro ha bisogno di verificare che il sopraggiungere di circostanze nuove non abbia inciso in nessun modo sulle capacità e sulle attitudini del dipendente (Cass. 28930/2018).

In altre parole, la ripetizione del patto di prova in due successivi contratti di lavoro tra le stesse parti è ammissibile solo se essa risponda all’esigenza effettiva dell’imprenditore di verificare non solo le qualità professionali, ma anche il comportamento e la personalità del lavoratore in relazione all’adempimento della prestazione, elementi suscettibili di modificarsi nel tempo.

Si pensi al caso del postino che aveva inizialmente svolto per brevi periodi l’attività di portalettere in un paesino in provincia di Lecce; successivamente era stato assunto nuovamente in prova, ma per svolgere le medesime mansioni a Milano. In tal caso, è stata confermata la legittimità del patto di prova apposto al contratto nonostante il dipendente fosse stato già assunto in precedenza con vari contratti a termine e con le medesime mansioni di portalettere. Infatti, i precedenti contratti erano troppo brevi e la nuova sede di lavoro si trovava in un contesto inevitabilmente più stressante e caotico rispetto a quello cui era abituato il lavoratore (Cass. 28252/2018).

Analogamente, è stata confermata la legittimità del nuovo patto di prova stipulato con un postino in considerazione del fatto che nel corso del tempo erano intervenute nuove tecniche operative e variazioni concernenti le modalità di consegna della corrispondenza tali da rendere necessaria l’ulteriore verifica della professionalità e personalità del lavoratore (Cass. 25368/2016).

Licenziamento via mail del lavoratore in prova

Sono sorti alcuni dubbi circa la legittimità del licenziamento via mail per mancato superamento della prova.

Tuttavia, la giurisprudenza ha risolto la questione partendo dall’art.10 della legge 604/66 secondo cui le garanzie previste dalla stessa per il caso di licenziamento si applicano ai lavoratori in prova soltanto dal momento in cui l’assunzione diviene definitiva e, in ogni caso, quando sono decorsi sei mesi dall’inizio del rapporto di lavoro (Cass. 297453/2017). 

Dunque, è escluso che durante il periodo di prova il licenziamento del lavoratore debba avvenire in forma scritta (richiesta dall’art. 2 della legge 604/66). 

Fatta questa premessa con riguardo al licenziamento nel periodo di prova, va ricordato che per giurisprudenza consolidata il requisito della comunicazione per iscritto del licenziamento deve ritenersi assolto, in assenza della previsione di modalità specifiche, con qualunque modalità che comporti la trasmissione al destinatario del documento scritto nella sua materialità. Pertanto, tale requisito sussiste anche in caso di licenziamento via mail (sul punto si veda il nostro approfondimento “Il licenziamento intimato via mail, whatsapp o sms: a quali condizioni è legittimo?”).

Conclusioni

Come emerso nel corso della trattazione, il patto di prova costituisce un adeguato strumento per il datore di lavoro di verifica, durante la fase iniziale del rapporto, della capacità professionale e delle attitudini del lavoratore, consentendo anche di recedere senza necessità che sussista una giusta causa o un giustificato motivo, ove queste capacità e attitudini siano diverse da quelle attese. 

Inoltre, considerata la causa del patto di prova, quale strumento di verifica della convenienza del rapporto di lavoro, non è in assoluto vietato stipulare più di un patto di prova con il medesimo lavoratore. Ciò sia quando si tratti di patti aventi ad oggetto mansioni diverse, sia quando si tratti di patti aventi ad oggetto mansioni identiche, ma che rendano necessaria una ulteriore verifica delle competenze e capacità del lavoratore a causa di circostanze nuove che potrebbero incidere sulla salute, sul contesto lavorativo o sulle abitudini di vita del dipendente.

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